mercoledì 27 luglio 2011

carissima me

Carissima me è una commedia, gradevole, interessante ma sopratutto è lo spunto di una riflessione.


Nella pellicola la protagonista, donna in carriera, riceve delle lettere spedite da un notaio. Sono le stesse che lei ha consegnato all'uomo all'età di sette anni. Rivive così il suo passato e si scontra con i nodi non sciolti della sua vita
.
La domanda che sta dietro tutto il film é: siamo diventati ciò che volevamo essere? Che è un modo garbato di chiedersi se siamo soddisfatti della nostra vita.


Ho affrontato proprio ieri questo argomento con un ragazzo che ha una incredibile forza e che sostiene che ognuno può essere ciò che vuole se veramente lo vuole. Immagino che Appio Claudio il cieco autore del detto "faber est suae quisque fortunae" (ognuno è artefice della propria fortuna) sarebbe orgoglioso di lui.


Che cosa volevo essere da ragazzino? Beh devo dire che quando ero veramente piccino avevo le idee molto chiare, volevo essere Re. Il che credo che la dica lunga su quanto amavo essere viziato. D'altronde come scelta non è nemmeno tanto male a pensarci. Sempre meglio che lavorare...


La mia generazione è la prima ad essere cresciuta con la televisione, una televisione è diventata un cult. In quegli anni spopolavano i cartoni animati giapponesi e i telefilm di Star Trek e di Spazio 1999. Giocavamo tirandoci alabarde spaziali e magli rotanti, sparavamo siluri fotonici ma non riuscivamo mai a teletrasportarci dicendo: ‘Energia Scotty’. Non era difficile essere affascinati dalle stelle. Tra Capitan Harlock, Star Blazer, Mazinga, Astroganga, ricordo un episodio di Capitan Futuro, che raccontava della cometa di Halley. A casa c’era una enciclopedia (il dizionario enciclopedico Treccani, il mio regalo per la prima comunione, il più bello che abbia mai ricevuto) e così feci una ricerca per la maestra, che ne rimase più sconcertata che colpita.

Ecco forse quell'episodio ha segnato in qualche modo la mia vita. La mia passione per la scienza è nata allora. Certo avevo le idee ancora un pò confuse e pensavo di potere diventare uno scienziato astronauta. Non avevo idea che andare nello spazio non fosse proprio una passeggiata. Quando poi ho capito la cosa mi sono focalizzato per essere un fisico.

Oggi lo sono, o meglio cerco ogni giorno di fare qualcosa per meritare di esserlo. Dunque vedendo questo film tutto sommato mi posso ritenere soddisfatto, perché in casa sono trattato come un Re e al lavoro faccio ciò che desideravo.

Quello che avevo dimenticato, e che un giovane amico mi ricorda sempre, è che se vogliamo veramente qualcosa non è mai troppo tardi per migliorarci, per essere ciò che possiamo essere.

lunedì 25 luglio 2011

Allucinazioni paranoiche

Uso sempre un paradosso per farmi capire quando qualcuno scambia vittime e carnefici. La colpa non è di chi ha sparato, ma di colui che si è messo sulla traiettoria della pallottola.

Io non ci credevo, ma pare che Vittorio Feltri la pensi proprio così. In un editoriale tra l'agghiacciante e il grottesco sostiene che i giovani massacrati in Norvegia sono stati incapaci di reagire, egoisti ed egotisti. In sostanza egli dice che "c'è da chiedersi perché il pluriomicida non sia stato minimamente contrastato dal gruppo destinato allo sterminio" e aggiunge: "è incredibile come in determinate circostanze ognuno pensi solo a salvare se' stesso".

La sua teoria è che lo avrebbero dovuto disarmare, forti del loro numero.

Stiamo parlano di ragazzini di 15 anni, di un folle con armi automatiche che sparano raffiche mortali. Trovo indegno, vergognoso e francamente schifoso fino al midollo che si attribuisca la colpa di essere morti alle vittime.

Ed invece non si pensa a chi ha armato la mano e la mente del folle. Non si considera da quali ambienti xenofobi,  razzisti, ultraconservatori e fondamentalisti viene l'assassino.

L'altro ieri il Giornale è uscito con due edizioni in diverse regioni d'Italia. In una il titolo era contro i fondamentalisti islamici. Nessuna prova, ma sì buttiamo la croce addosso a loro, tanto sta sempre bene. Ricordo la faccia di Fede la sera della morte di Calipari. Non poteva credere che gli avessero sparato gli americani. Continuava a sostenere che erano stati gli altri, gli iracheni, i fondamentalisti, gli altri.

Dunque la colpa non è dei Feltri equivalenti che soffiano sul fuoco, che non perdono occasione per seminare paura e odio. No, la colpa è dei ragazzini che si impressionano davanti ad un tizio che spara raffiche di mortali proiettili, si scansano davanti ai brandelli dei compagni che vengono falciati.

Penso ad uno di quei genitori norvegesi che non rivedranno mai i loro bambini, perché, come dice Feltri, si sono comportati come codardi egoisti. Poveri genitori, dover vivere anche con questa vergogna.

domenica 17 luglio 2011

La caduta dei giganti

Non mi piacciono i libri nei quali si rischia la slogatura del polso per leggerli, ovvero i tomi di un migliaio di pagine. Eppure per Follet faccio una eccezione (a dire il vero anche per 'the making of the atomic bomb' di Rhodes...). Mondo senza fine e i pilastri della terra li ho divorati. E lo stesso ho fatto in pochi giorni con la caduta dei giganti, l'ultimo bestseller.



Se gli altri due grandi romanzi storici erano ambientati nel medioevo, questo invece pone la sua attenzione sull'inizio del 1900 e in particolar modo sulla prima guerra mondiale. Sto alla letteratura come i frequentatori del bar sport al calcio. Me ne guardo bene dal farne una recensione. C'è però qualcosa che mi ha colpito profondamente in questo libro ed è di ciò che voglio parlare.

Non è un libro di storia, eppure la racconta. E la vede da un punto di vista differente di quello che siamo usi a fare. Non si parla tanto di massimi sistemi o di geopolitica, ma di storie di persone 'vere' o verisimili. Si parla di quotidianità, si ricostruisce un mondo, con veloci e toccanti pennellate. Insomma si viene trasportati in una epoca così distante dalla nostra ma lo stesso intrigante.

Si entra poi in contatto con un tema, la prima guerra mondiale, poco seducente, poco trattato, eppure fondamentale ancora oggi.

Cosa ho capito che non sapevo? Anzitutto che le persone erano carne da cannone. Si potevano perdere 50.000 uomini così in un giorno per conquistare cento metri di terreno. La distanza tra il potere distruttivo delle armi e l'inadeguatezza di una imbelle e autoreferenziale classe nobile dominante è allucinante. Come è stato possibile sprecare 16 milioni di vite in guerre di trincea è incredibile.All'attacco!!! e giù una smitragliata che falciava tutti. e poi di nuovo, e di nuovo, finchè non si guadagnava la posizione. La vita umana considerata meno di nulla.

Ho capito meglio le tensioni sociali in Russia. Non si può essere giustiziati per avere fatto pascolare un gregge su un terreno incolto solo perché di un nobile latifondista. La crudeltà, il cinismo e l'arroganza di quella classe governante sono state l'humus per la nascita del comunismo.

Mi sono schierato a fianco delle donne inglesi che cercavano di conquistare i diritti civili, almeno quello del voto. Mi sono indignato del razzismo degli americani, anche i più avanzati come il presidente Wilson, per i neri. Ho sofferto per le tremende condizioni dei minatori scozzesi e la miopia e lo sfruttamento a loro danno degli aristocratici. Ho vissuto le vicende sentimentali di una coppia anglo tedesca, divisa dalla guerra, dai pregiudizi, dalle difficoltà del tempo. Mi sono sentito dispiaciuto per le tremende condizioni di resa imposte ai tedeschi che facevano sì che un tozzo di pane costasse un triliardo di marchi e che l'inflazione fosse così alta che gli affitti non venivano nemmeno riscossi, tanto erano irrisori gli importi consumati dal caro vita.

Insomma per un migliaio di pagine mi sono immaginato di essere in quel tempo e ho, ahimé, constatato che molte delle questioni e delle aspettative di quegli anni sono ancora attuali oggi. Mi è venuta in mente una frase di Sabin: i saggi sono coloro che si adeguano alle situazioni. Dunque il progresso è solo opera dei pazzi. Forse dovremmo ascoltare un pò di più chi viene così etichettato.

un posto senza tempo

Esistono dei posti che rimangono nei nostri cuori. Per ognuno è differente. Io per esempio conservo un grande ricordo di Ischia perché é stata la meta del nostro viaggio di nozze.

Poi però ci sono posti nei quali ti sembra di sparire, di essere inghiottiti dalla bellezza, sono i luoghi senza tempo. Laddove non sai più che giorno della settimana sia, così distanti dalla vita di tutti i giorni da rappresentare uno iato nello scorrere della quotidianità.

Koufonisi è un posto del genere. Una isola dell'Egeo piccola piccola, difficile da raggiungere, con sole quattro strade, nessuna asfaltata. Un centinaio di abitanti di inverno, qualche migliaio in estate forse. Qualunque posto si raggiunge a piedi, mezzi non ne esistono, se si eccettua la barca che fa la spola tra le quattro spiagge principali, tutte bellissime. L'acqua è cristallina, i colori vivacissimi, le tonalità dell'acquamarina, del topazio e dello smeraldo sono quelle dominanti.

Un vento, a volte leggero, spesso più impetuoso, soffia costantemente, garantendo una naturale aria condizionata. Nessuna sorpresa in acqua, ne' meduse, ne' altri animali fastidiosi. Qualche riccio nelle parti rocciose. Le zanzare non volano con il vento e dunque anche questi noiosi insetti sono quasi assenti.

Non è affatto difficile trovarsi in spiaggia da soli. Che abisso rispetto ai litorali nostrani dove c'è sempre un cellulare che squilla, un bambino che urla, un marito che parla alla moglie ad alta voce.

Certo per chi cerca la vita notturna qua è un suicidio. Non c'è nulla, un paio di bar al massimo. Ma se si affronta la lunghezza del viaggio dal Pireo (9 ore di traghetto) si sa cosa ci si deve aspettare:

Un posto senza tempo, senza ressa, senza autoveicoli, senza stress.

sabato 9 luglio 2011

italiani all'estero

Non capisco perché agli italiani chiedano un documento all'estero. Si riconoscono lontano un miglio.

In qualunque posto non passa inosservato. Ne basta un piccolo gruppo per fare un equivalente in decibel di una dozzina di tedeschi.

All'aereoporto però non è necessario neanche che proferisca parola. Il primo che si mette in fila per l'imbarco perché sul suo biglietto c'è scritto quell'ora, anche se il gate è chiuso, anche se non vi è personale di terra, perfino se il tabellone indica un altro volo è di certo un italiano. Ma siccome un'altra delle nostre virtù è l'essere gregge, anche gli altri che lo seguono a ruota sono di certo italiani.

Chiaccheroni lo siamo molto e al telefono financo di più. Non so perché ma i cellulari degli italiani squillano più degli altri. E non si preoccupano minimamente di avere un pò di privacy. Adesso se tu chiami tuo figlio Orso, io francamente me lo terrei per me...

La griffe è un'altro segno distintivo. Siamo il popolo dell'eleganza signori, e dunque dobbiamo andare tutti firmati. Dalla testa ai piedi.

Ma se c'è un luogo dove l'italiano da' il meglio di se' è nel suo sport nazionale: il mangiare. Entra in un ristorante che sta a diverse migliaia di chilometri da casa e parla in italiano. Così con naturalezza, "abbiamo prenotato" oppure "avete un tavolo per quattro". Sotto non c'è stupidità cronica c'è un'altra delle nostre piccolezze. L'Italiano non chiede, ESIGE. Per questo parla nella sua lingua madre e non si cura.

Ma cosa c'è di peggio di una coppia di italiani in un ristorante all'estero? Ma via, cinque coppie di italiani, con relativi pargoli. I figli vengono deportati in tavoli separati e lì affogati in un bagno di patatine fritte, mentre i "grandi" si ingegnano nelle ordinazioni. Uno che conosce un pò l'inglese si trova sempre e poi siamo il popolo di "volevam savuar" dunque ci facciamo capire. Il problema rimane mettersi d'accordo. Ma le melanzane sono fritte o al forno? C'è la pastella o no? Quante ce ne sono per porzione?

Me ne sono andato prima del conto per evitare delle scene raccapriccianti. Infatti neanche la corte dei conti è così intransigente sulle ricevute dei ristoranti come un italiano all'estero. E questo perché? Perché teme essere sempre di essere fregato.

Dunque non va mai in vacanza da se' stesso e dal suo paese.

mercoledì 6 luglio 2011

La nascita della TFL

Con sabato si è conclusa la mia stagione del football. Adesso abbiamo anche un logo, una pagina facebook con il nostro nome, Tor Vergata Football League (TFL).
E' stata una primavera bellissima. Alcune frasi mi rimarranno dentro, come "vivo una settimana di un solo giorno, nasco e rimuoio ogni sabato", oppure "il miglior ricordo della mia laurea magistrale", "non vedo l'ora sia sabato". Sorrisi, urla, grandi giocate e enormi errori. Sembriamo usciti da un film, un pò ogni maledetta domenica, un pò momenti di gloria. Ma forse anche l'uomo dei sogni. Forse anche qui c'era voce che diceva "se lo costruisci lo rivedrai". Che cosa? L'ho scoperto alla fine.

Tutto nasce un pomeriggio dell'autunno 2008 credo. C'era un tavolo nel laboratorio di elettronica di ragazzi svegli e così ci siamo messi a parlare. Ho detto che ero disponibile per fare da relatore ad una tesi. Qualche mese dopo mi sono venuti a trovare in quattro. Ma già due sarebbero stati un carico non indifferente, figuriamoci quattro. Alla fine solo uno, il più signore, rinunciò, per gli altri tre non ci fu nulla da fare e così mi trovai con ben tre laureandi. Fu un periodo intenso, ma bello. Non so se trasmisi qualche pillola di sapere ma spero almeno un pò di amore per il mio lavoro. 

Poichè si era instaurato un rapporto amichevole parlavamo anche del più e del meno e non potei fare a meno di stressarli con la mia passione, trentennale avevo 12 anni quando vidi il mio primo Superbowl, per il football americano. Tanto che dopo la discussione della tesi mi invitarono a pranzo e mi regalarono una maglietta e un pallone ovale. Era dicembre 2009, una giornata uggiosa, ma che rimane nei miei ricordi come solare e radiosa. Quel pallone ci ha accompagnato fino a sabato scorso, quando gli abbiamo dato la giusta pensione. E' malridotto e porta su di se' le cicatrici di tante gare, il sudore di tante corse, le impronte di tante persone.

Adesso giochiamo dissero. Il problema è che la teoria si può capire in televisione, ma la tecnica no. Nessuno sapeva lanciare. 

Per fortuna in quel periodo capitò ai laboratori un ragazzo americano, da UCLA. Nelle pause mi insegnò lui. Non è difficile se qualcuno ti dice come fare! Era quello che mancava, potevamo iniziare.

Cominciammo nel parcheggio dell'università, lanci e ricezioni. Eravamo in quattro mi pare. Venne a piovere ma continuammo. Da subito pensammo che bisognava andare su di un campo. Iniziammo con un prato. La superficie non era proprio piatta. Ricordo che Matteo, uno dei laureandi da cui nacque tutto, non finì di dire salve, che alla l era già con una caviglia slogata in una buca a smadonnare. E' vero che lui dice saaaaaaaaallllllllvvvveeee, e dunque prima di arrivare alla l ci vuole un pò.

All'inizio è stato un pò disastroso, non sapevamo giocare, ci mancavano i fondamentali. Lanciare non serve nulla se poi non c'è coordinamento con i ricevitori, se non si sa come bloccare sulle corse, il gioco è spezzettato e poco spettacolare. Ma devo dire che avevamo una grande voglia, nessuno da cui imparare e tanta pazienza. Alla fine non andavamo neanche male. Per me già giocare così era un sogno.

Ma il vero salto di qualità lo abbiamo fatto quest'anno. Siamo cresciuti nel numero e nell'organizzazione. Abbiamo preso una striscia bianco rossa, come quella dei lavori stradali, per disegnare il campo. abbiamo scelto un giorno fisso, un posto fisso. E ci siamo divertiti. Molto.

Certo c'è stato anche qualche infortunio, un paio gravi. Un dito in un occhio, uno stiramento, una lingua quasi mozzata e diversi giorni di ospedale, una mano fratturata. Che dire? sono stati incidenti, non credo che nessuno di questi sia correlato direttamente a questo sport. Capita a chi si muove. Sono fortunato a non essermi fatto nulla, essendo io il prototipo del pigro.

Portavo una lavagna per disegnare gli schemi ma qualcuno ha avuto una idea migliore. Il playbook. Scrivere vuol dire mantenere memoria. Così ne abbiamo fatti due, uno per squadra. Alla fine sono diventati corposi.

Le partite scorrevano, noi miglioravamo e intanto l'americano Gabe era tornato. Così sono riuscito a coinvolgerlo ed è venuto a giocare due partite, le migliori. Un altro pianeta. Abbiamo imparato moltissimo. Egli stesso è rimasto sorpreso dal nostro livello, essendo totalmente autodidatti.

Forse al termine ci siamo fatti prendere un pò troppo dall'agonismo, ma subito siamo tornati sulla terra. L'ultima partita eravamo dispari, abbiamo giocato cambiando squadre in continuazione. Abbiamo ripetuto sei volte la stessa azione per non finire la partita. Ecco lo spirito genuino della TFL. E' stato il nostro all star game. Abbiamo anche premiato il nostro giocatore migliore, scelto dopo un sondaggio tra noi. Non abbiamo tenuto punteggi, dunque magari non è neanche detto che sia colui che ha segnato più punti, ha solo giocato meglio e in modo più continuativo.

Credo che ci siamo divertiti perché ci sono persone che amano stare insieme e divertirsi, a cui piace applicarsi per fare funzionare anche un gioco difficile. Che hanno la pazienza di ascoltare e la personalità di proporre le loro idee. 

Mi piace pensare come ha detto qualcuno che abbia incontrato questi ragazzi a metà strada, loro sono cresciuti un pò e io sono un pò ringiovanito.

Ecco cosa sono riuscito a rivedere: il ragazzo che rimane in me.



martedì 5 luglio 2011

prodotti per giovani

Il mondo invecchia si sa. Secondo l'Istat al primo gennaio del 2010 ben il 20% della popolazione italiana ha più di 65 anni. E ovviamente si prevede che i numeri crescano in futuro.

Eppure la nostra società non considera cittadini gli anziani e nemmeno potenziali clienti.

Vado alla posta e vedo poche sedie, tanti in fila, sopratutto non giovanissimi. Avete provato a prendere un treno? o un aereo in coincidenza? Pensate che le informazioni siano chiare, i gradini siano bassi, le condizioni climatiche dei viaggiatori siano confortevoli per una persona anziana? E gli autobus? e' facile la salita e la discesa?

E' un mondo fatto per i giovani. Anche se i giovani oggi non hanno tante risorse economiche. Eppure nessuna linea di prodotti è indirizzata alla terza età. Provate ad utilizzare un cellulare con i tasti piccoli piccoli, oppure una lavatrice con le scritte microscopiche quando non vedete più tanto bene. E la moda? tutta giovane si intende.

E' incredibile come per una larga parte della popolazione i produttori non si sforzino di creare prodotti ad hoc. Come i legislatori non considerino delle procedure più semplici o degli uffici dedicati per chi deve mettersi nel girone infernale della burocrazia.

Salvo poi ricordarsi di loro quando servono i nonni. Ah ecco, leggo proprio ora che invece una legge si sta pensando di farla. Tagliare la pensione di reversibilità alle vedove che sono sposate da meno di 10 anni con uomini più anziani di loro di 20. Vorrei potere commentare restando serio ma non ci riesco. E' per questo che i comici latitano in questo paese, li sostituiscono i politici.

domenica 3 luglio 2011

I sì TAV

Si parla tanto dei No TAV. Quelli contro i treni ad alta velocità in Val di Susa. Ma niente dei Sì TAV, quelli a favore dell'alta velocità transeuropea. Ci sono? Credo proprio di sì e penso siano molti di più dei no. Sono solo più silenziosi.

So che vicende di questo genere non si possono mai giudicare in modo manicheo e che ragioni e torti stanno un pò qua e un pò là. In questo caso però mi sfuggono le vere ragioni di opposizione.

Gli abitanti della Val Susa li posso anche capire. Non fa piacere vedere lavori imponenti nel proprio angolo di paradiso. Anche se qui non costruiamo una centrale nucleare o a carbone, facciamo un buco per un treno.

Se fossimo stati contrari ai tunnel non avremmo fatto i trafori delle Alpi, non saremmo stati in collegamento con le altri nazioni europee. Cosa ha questo di diverso? Ho sempre pensato che i treni fossero uno dei migliori sistemi di trasporto. Sono economici e inquinano poco. Uno dei mali storici del nostro paese è la mancanza di infrastrutture. Provate a prendere un treno nel meridione di italia e poi ditemi. Provate ad andare a Genoa da Roma e ne riparliamo.

Noi trasportiamo merci e persone su gomma, pericoloso, costoso, inquinante. Certo qua siamo un pò di passaggio, una tratta che corre dall'Ucraina al Portogallo, ma che rappresenta un grande corridoio che attraversa l'Europa e che si ferma da noi. In nessuno degli altri tratti esteri si sono manifestati problemi.

Ma se allarghiamo l'orizzonte oltre i residenti della Val Susa troviamo un variegato mondo di contrari per professione. Gente che è contro la modernità, e sovente anche contro la scienza. Il progresso è guardato con diffidenza. Sono i signor no. Moderni anacoreti che pensano che la salvezza sia il regionalismo, percorrendo così a ritroso la freccia della storia.

Già le repubbliche marinare in Italia avevano la vocazione alla globalità. Cosa ne sarebbe della nostra economia senza l'export? Siamo uno dei primi esportatori del mondo di prodotti alimentari, di moda, di gioielli e altri generi di lusso. Se veramente cadessimo in una logica regionalista la mozzarella di bufala la potrebbero produrre ovunque, il Brunello lo dovrebbero bere sono i toscani. Senza i commerci, senza un mercato globale a chi venderemmo le nostre merci? Ci conviene veramente questa visione?

Nel paese che manca di infrastrutture non si riesce nemmeno a costruire una ferrovia. Figuriamoci gli impianti di smaltimento dei rifiuti. Forse ci dovremmo interrogare dove vogliamo andare. Se pensiamo di andare avanti le infrastrutture servono. Possiamo discutere di tutto, di come sono finanziate, di quanto costano, di dove sono collocate. Ma l'unica cosa che non possiamo accettare è il non fare nulla perché qualcuno sarà sempre contrario.

E sopratutto la cosa che non posso tollerare è la violenza, verbale e fisica. Gandhi ha sconfitto l'impero britannico con la non violenza, forse questi dovrebbero leggere qualche libro di storia.