giovedì 14 giugno 2012

La valutazione dell'ignoranza.

Non c'è parola più magica in questa nazione della meritocrazia. Eh sì perché siamo tutti convinti (a ragione direi) che ciò che rende grandi gli altri paesi, ovvero selezionare le persone meritevoli e dargli le migliori risorse per produrre qualcosa di buono per tutti, dai noi non funziona.

Ma ecco che i nostri legislatori da tempo stanno lavorando (!) per migliorare quella locomotiva ansimante, quel carroccio asmatico che è l'università. Ed ecco che parte la VALUTAZIONE.

Come funziona questo parto dei nipoti di Machiavelli? Ognuno deve selezionare dei prodotti di ricerca, tre massimo si intende. D'altronde in 7 anni che vuoi produrre? Una trentina di articoli come capita a me per esempio? No, tre lavori. Stop.

I tuoi migliori lavori? Nemmeno! Infatti i lavori sono sempre in collaborazione. e non si possono presentare due volte gli stessi. Dunque l'Università si organizza per massimizzare il suo punteggio e non quello dei singoli. Ecco dunque che A e B hanno tre lavori in comune. Sono dei bei lavori. B non ha altri lavori, A ne ha altri 30, ma quei tre sono i più buoni. A chi vengono attribuiti, ad A o a B?

Ovviamente a B, perché altrimenti lui che presenterebbe? Nulla. Perciò A non può presentare i suoi migliori prodotti per massimizzare il punteggio della Università. Niente di male se tutto resta anonimo, ma ecco che il fesso di turno (Pietro Ichino) chiede che siano resi pubblici. Ottimo, così B sarà molte posizioni sopra A. Meritatamente, perché ha capito che in questo paese non è importante fare qualcosa, ma stare al traino di qualcuno che lavora.

Ma non scaldiamoci troppo il bello deve ancora venire!

Ecco il Regolamento con i criteri e i parametri per avere l'abilitazione a professori ordinari e associati. Un capolavoro sublime di stupidaggini.

Se un giorno qualcuno volesse diventare associato o ordinario dovrebbe superare questo scoglio. Mi cade subito l'occhio sui parametri bibliometrici, ovvero quanto hai pubblicato.

Sacrosanto. Se non pubblichi nulla non stai facendo ricerca, stai giocando. Solo che...

Sono tre i parametri e bisogna superarne due. Bisogna avere più pubblicazioni e citazioni della mediana dei professori già di ruolo. A parte l'assurdità matematica della cosa, entrando solo quelli che sono sopra questo valore esso si sposta sempre più in alto e ben presto nessuno potrà mai più entrare, c'è un problema di fondo.

Non si discrimina ne' sulla qualità delle pubblicazioni ne' sul numero degli autori. Secondo voi contano di più 10 articoli sul corriere della sera o 100 sul gazzettino dei castelli romani? Per questo regolamento meglio i 100 sul gazzettino. Eh già...

Ma poi nessuno scrive articoli da solo, si fanno in collaborazione. Per questo nel mondo il valore di ogni articolo viene diviso per il numero degli autori, o per la sua radice quadrata. Così se A pubblica due articoli con 4 nomi produce lo stesso di B che fa 5 articoli ma con 25 nomi. Un principio di equità.

Così invece no! Le grandi collaborazioni nella fisica delle particelle firmano a 500 nomi, ergo producono centinaia di articoli l'anno. Molti non sanno neppure di averli, alcuni non li leggono neanche! Ho sentito di casi di 400 articoli l'anno per una persona, più di uno al giorno. E' ovvio che se dividiamo per gli autori questi contano, come devono, pochissimo. Altrimenti no. Per cui solo chi appartiene a questi grandi gruppi può fare carriera, pure se in realtà è stato solo un portatore di acqua.

Non ci hanno pensato, mi ha detto qualcuno.

NON CI HANNO PENSATO???? E' una legge dello stato!! Già fare ricerca in questo paese è masochistico, si è considerati meno di nulla, si conta niente, e neppure si ha la soddisfazione, almeno morale, che il proprio lavoro sia riconosciuto. Macché, si rischia di far passare per fannulloni chi lavora e viceversa, premiando chi non lo merita e mortificando invece chi lo meriterebbe.

Solo che il paese non lo salvano certo i fannulloni.

Ma si vede che non ci hanno pensato...

domenica 3 giugno 2012

Cape Canaveral

Ci sono pochi posti così mitici per chi ama la scienza come Cape Canaveral, sede del Kennedy Space Center. Da qui è passata la storia dell'astronautica. Sin da bambino sognavo di vedere dal vivo quello che era la nostra porta verso lo spazio. Sì lo so, faccio torto a Baikonur, il cosmodromo russo, e a tutti quelli che invece di spendere 4 milioni di dollari per la penna che scrive nello spazio hanno sempre saputo che era meglio la matita.

Però qui c'è un fascino particolare, qui l'uomo è partito per la luna, da qui si sono levate per non tornare ben due missioni Shuttle. Tutto odora di futuro. O almeno era così fino a qualche tempo fa. 

E' emozionante visitare l'edificio dove è stato assemblato il Saturno V, vedere uno di questi razzi mai usato, passare di fronte alla capsula della Mercury usata nei primi viaggi spaziali.

C'è poi un cinema IMAX per la proiezione 3D dei primi film spaziali presi sulla stazione internazionale. La sensazione? Incredibile!

E' tutto molto bello, compresa la simulazione della sala controllo per la partenza dell'Apollo 8, la missione della resurrezione, dopo l'incidente mortale dell'Apollo 1. E poi c'è la possibilità di porre domande a degli ingegneri della Nasa: perchè il serbatoio dello Space Shuttle è diventato arancione ad un certo punto?

Perché non serviva dipingerlo di bianco e si risparmiava peso. Solo qui si può scoprire la storia di John Young, che è ancora vivo peraltro, l'unico ad avere volato per ben due volte sia con la Gemini, che con gli Apollo, che con gli Shuttle. 

E' stato anche sulla luna (Apollo 16), ed il primo comandante dello Shuttle. Oltre al primo ammutinato spaziale, per avere di nascosto portato un tramezzino a bordo...


Eppure, manca qualcosa. Qualcosa che mi aspettavo di trovare e che non c'è. Non vi è la quotidianità dello spazio, l'attenzione per la prossima missione, semplicemente perché non c'è una prossima missione. Qualche satellite, magari militare, con un razzetto a perdere è tutto il programma da qui fino al 2020. 

Solo allora si spera, con l'aiuto dei privati, di provare a tornare sulla luna. Ecco, quello che doveva essere il posto del futuro-presente, risulta oggi un po' del passato. Si guarda indietro, glorifica le sue gesta e quelle degli eroi che hanno volato nello spazio. Ma non guarda tanto avanti. 

Una volta un giornalista chiese a Yuri Gagarin: "a che serve?"- E lui rispose che se l'uomo si fosse posto sempre questa domanda non sarebbe mai uscito dalle caverne. 

Temo che in qualche modo oggi ci stiamo tornando.